Forse perché il virtuoso rappresenta una figura celestiale, quasi non appartenere all’uomo, visto invece in veste più profano, più peccatore, più tangibile… la parte più oscura della coscienza umana, e per questo più seducente.
Infatti i vizi capitali hanno affascinato filosofi, santi, poeti, scrittori; se ne parla nel mondo dell’arte, in quello artistico, sono studiati e analizzati sia nella psicoanalisi, sia in campo teologico.
Fanno la prima comparsa con Aristotele nel 300 a.C., che li identifica come “abiti del male”.
Molti anni dopo, nel 1200, per Tommaso d’Aquino rappresentano “l’opposizione della volontà dell’uomo alla volontà divina”.
Nel 1700, per Immanuel Kant, escono dal mondo morale, per fare l’ingresso in quello patologico, non più “vizi”, quindi, ma “malattie dello spirito”.
Nel nostro tempo, invece, in veste più contemporanea, sono quelli descritti da Umberto Galimberti in “I vizi capitali e i nuovi vizi”, e quelli da Gianfranco Ravasi in “Le porte del peccato – I sette vizi capitali”.
Vengono chiamati “vizi capitali” perché generano altri vizi, altri peccati, e per questo basta guardarsi intorno.
Se per la Chiesa il peggiore dei setti vizi capitali è la superbia, fare una classificazione ha forse poca importanza.
Potrebbe essere utile, invece, soffermarsi a riflettere…, al di là dell’aspetto cristiano, quale rispetto per se stessi e per il prossimo.
Superbia
Il superbo è colui che ostenta sicurezza, doti superiori, uniche, ed una sorta di narcisismo, sminuendo per emergere le qualità ed i meriti degli altri. È sicuro di sé, non sbaglia mai, e guai a contraddirlo. Ha un atteggiamento sprezzante, arrogante, di chi può sempre e ovunque, tant’è che disprezza regole e leggi. Ma se alcuni sono proprio convinti di essere superdotati, altre volte questo atteggiamento, nasconde in realtà la poca stima di sé, il riconoscere la propria normalità ed il desiderio di essere ciò che invece non si è.
Avarizia
L’avaro si attacca troppo alle cose materiali, accumula al di là di ogni necessità: denaro, beni materiali e quant’altro e, se necessario, anche con mezzi illeciti per impossessarsi di ricchezze. Il possedere lo fa sentire invincibile, accresce in lui il senso di autorità, di potere. L’avidità non conosce limiti, e l’avaro si considera accorto, previdente, oculato, e spesso non basterebbero sette vite per godere di quanto accumulato, ma la generosità è per lui un termine sconosciuto. Si può essere avari anche nei sentimenti.
Lussuria
Il lussurioso ha atteggiamenti travolgenti ed ossessivi di natura sessuale, di puro piacere fisico, amore carnale, perversione. La lussuria diventa un vizio anche quando la carnalità, la concupiscenza, la dissolutezza diventano i principali pensieri, annullando ogni forma di moralità.
Invidia
È la felicità altrui che desta dispiacere e frustrazione nell’invidioso. Invidia di beni materiali, bellezza, successo o quant’altro possa dare felicità. Benessere altrui che mortifica, che crea senso di inferiorità, di impotenza. Talento, capacità, compromesso o colpo di fortuna, poco importa, l’invidia resta, e logora e addolora. Ma spesso stimola l’ambizione: arrivare, fare, per essere come gli altri e, magari, ancora di più, perché chi non è primo non vale nulla.
In ogni caso è sempre una visione distorta del proprio essere, del proprio esistere, perché, guarda caso, si considera solo chi sta meglio e non viceversa.
Gola
Il cibo, nel goloso, va al di là del valore nutrizionale e della sopravvivenza. Bramosia non regolata dalla ragione e ingordigia verso il cibo, abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola. Colui che mangia e beve più del necessario, senza controllo, che mette il cibo in primo piano. Ma pecca di gola anche la ostentata passione per piatti costosi, pietanze raffinate, luoghi di ristorazione dove il lusso e l’abbondanza sono uno schiaffo morale alle migliaia di persone che muoiono di fame.
Ira
Suscettibilità, irritazione, risentimento, rabbia, perdita di controllo che si trasforma in un’esplosione di collera primitiva che, a volte, in modo incontrollabile, si tramuta in violenza. Perdita dell’uso della ragione e conseguente furia brutale ed aggressività, spesso dettati da smania di vendetta, frustrazione, rancore…
Accidia
Caratterizzano l’accidioso la negligenza, la pigrizia, l’ozio, ma anche l’apatia, la mancanza di interessi, il rifiuto di vivere la vita con le sue amarezze e, purtroppo, i suoi rischi. Ogni dovere e responsabilità lasciano il posto all’indifferenza, alla svogliatezza, ad uno stato d’animo cupo, al lasciarsi andare. Impegni considerati di poca importanza che non vengono assolti, e rimandati, spesso, anche per noia, sconforto, malessere o depressione.
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Rubrica "salute & benessere"